Africo è il nome di un paese montano alle falde dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria. Per arrivarci si può seguire la strada provinciale Bova Marina-Bova Superiore-Campi di Bova da dove ci si può indirizzare verso Africo o verso Casalnuovo. I due paesi sono disabitati.
Africo è stato abitato fino all’Ottobre del 1951 finché una catastrofica alluvione, che si è protratta ininterrottamente dal 15 al 20 ottobre, costrinse i suoi abitanti e quelli della sua frazione Casalnuovo ad abbandonare le proprie abitazioni e a trasferirsi in alcuni centri appositamente allestiti: Bova Superiore, “Campo profughi” di Bova Marina e Reggio Calabria. La soluzione definitiva avvenne, gradualmente, a partire dalla fine degli anni del 1950. I suoi abitanti sono detti africesi o africoti.
Africo è un centro dell'Aspromonte fondato nel IX secolo A.C. dagli abitanti di Delia, o Deri, colonia locrese situata forse alla foce della fiumara San Pasquale. Fu, tuttavia, Casale di Bova, e fino alla caduta del feudalesimo (1806) appartenne all'Arcivescovo di Reggio al quale era stato affidato nel 1195 da Arrigo VI in riconoscimento della sua condotta durante la conquista della Sicilia. Fu colpito dal terremoto del 1783 che provocò la morte di sei persone e produsse danni per ottantamila ducati. Per l'ordinamento disposto al tempo della Repubblica Partenopea Africo fu considerato autonomo ed incluso nel Cantone di Bova, a cui rimase, con la stessa qualifica nell'ordinamento francese del 1806, che pur gli attribuiva il villaggio di Casalinuovo, ed in quello borbonico del 1816. Fu danneggiato dal terremoto del settembre 1905 e da quello del 1908. Nel 1930 fu disposto il consolidamento dell'abitato a totale carico dello Stato. Qui si trova l'antico monastero di San Leone d'Africo detto più semplicemente monastero di San Leo (di cui si conserva una reliquia). Le alluvioni del 1951 e del 1953 hanno tragicamente distrutto l'abitato costringendo la popolazione a cercare riparo altrove. Per arrivare ad Africo si può seguire la via Bova Marina-Bova-Campi di Bova.
Dal libro “AFRICO Dalle origini ai nostri giorni – una storia millenaria” - di Bruno PALAMARA si apprende che lo storico G. Barrio, parlando di Africo, scrive: “non si sa né quando egli fosse surto, né chi fossero i suoi fondatori: c’è chi lo dice fondato nel secolo IX dagli abitanti di Delia, chi da un gruppo di abitanti della contrada San Pasquale di Bova e chi dai superstiti di Pietra Cucca, città posta tra Africo e Samo, distrutta dai Saraceni”.
Sempre il Barrio scrive di: “Un diploma del 30 gennaio del 1195, col quale Arrigo VI fece concessione all’Arcivescovo di Reggio della città di Bova e della terra di Africo col titolo di conte, in riconoscimento della sua condotta durante la conquista della Sicilia”.
Nei registri Angioini del 1336 e 1337 Africo è detto Casale regio; mentre nella tassazione dei “fuochi” Africo è compreso nella numerazione dell’Amendolea.
In un documento tratto dal Regesto Vaticano per la Calabria e datato 27 ottobre 1427 viene citato il “monastero di S. Leonis de Africo”.
Nello stesso libro Giuseppe Dieni afferma che: “i cittadini di Africo dovrebbero essere gli antichi italioti, rimasti puri senza confusione di sangue con altre razze, dunque la “schiuma”, il fiore della nostra antica stirpe: da ciò il nome “Africo”, derivazione di “Aphrocos” che significa “schiuma”. Il Dieni sostiene che “nel periodo arabo (800 d.C.) sambali e africoti stavano insieme in alta montagna in contrada Arcà in un villaggio di cui si è perduta ogni traccia chiamato Pietracucca al di qua (verso Locri) del torrente Aposcipo.
Per questo gli africesi li chiamano ancora i Chucchi”. Pietracucca fu distrutta nella primavera del 952 d.C. dai saraceni. A seguito di questo evento nacquero i casali di Bruzzano, Motta Bruzzano o Motticella, Ferruzzano e il Salvatore, ossia Casalnuovo.
C’è da notare che Il nostro Paese ha preso il nome Italia da quella località della Calabria meridionale: la parte estrema della penisola, dove si trova anche Africo.
Nel libro “AFRICO” di Corrado STAJANO si parla di Africo come “città natale del monaco basiliano Beato Leone che fu fondata nel IX secolo a.C. dagli abitanti di Delia, o Deri. Città esistente nel territorio dell'Amendolea, era una colonia locrese situata forse alla foce della fiumara San Pasquale. Fu tuttavia Casale di Bova e fino alla caduta della feudalità (1806) appartenne all'Arcivescovo di Reggio cui era stato dato, nel 1195, da Arrigo VI in riconoscimento della sua condotta tenuta durante la conquista della Sicilia. Il nome pare derivi da afrikos, cioè “esposto al sole”, oppure dal nome di un vento di libeccio.
Africo fu danneggiato dal terremoto del settembre 1905 ed ancora da quello del 1908. Nel 1930 fu disposto il consolidamento dell'abitato a totale carico dello Stato… che non avvenne!
Africo al momento del definitivo abbandono non era raggiunto dalla strada carrabile ed era collegato da semplici sentieri.
A Casalnuovo la prima "corriera" arrivò pochi mesi prima dell'alluvione del 1951. Le difficili condizioni di vita degli africesi furono documentate da un servizio fotografico di Tino Petrelli nel 1943, da un’inchiesta pubblicata da L’Espresso nel Marzo del 1948 e dal regista calabrese Elio Ruffo nel 1949. Ma il grande protettore di Africo fu il conte Zanotti Bianco.
Eravamo nei primi anni del 1920, Zanotti Bianco, che è stato presidente della CRI, poiché era contro il regime fascista fu mandato al confino in Calabria e lì, dopo essere giunto ad Africo e a Casalnuovo e vista la drammatica situazione economa e sociale dei due centri fece una relazione coraggiosa che sollevò molto scalpore. Anche se di fronte ad una forte sordità da parte delle competenti (?) autorità, per merito della Croce Rossa Italiana e dell’Associazione per il Mezzogiorno, anche se la strada di collegamento rimase allo stato di progetto, sorsero le scuole, l'asilo e alcune casette nuove.
Per il resto dopo lo sfollamento dovuto all’alluvione del 1951 quella di Africo è una storia recente, come si può evincere sia dalle testimonianze di seguito qui riportate che dalle testimonianze di quelle migliaia di “africoti” e di “casalinoviti”, che giustamente oggi si considerano tutti “africoti” o “africesi”, che hanno vissuto tanti di questi avvenimenti e che sono i testimoni e i discendenti di quella grande comunità che trae le proprie origini da un territorio economicamente povero ma da una popolazione nobile e ricca di cultura e di storia.