DAL CAPITOLO 2 DEL LIBRO "AFRICO" di C. STAJANO

“Africo è un paese trapiantato, ricostruito dopo una rovinosa alluvione che dal 15 al 20 ottobre 1951 distrusse il vecchio Africo situato a 670 metri sul pendio di una collina dell’Aspromonte orientale”.
“Africo, villaggio regio surto nel territorio di Amandolea in Calabria ultra in diocesi di Bova, da cui ne dista miglia 10 circa. Egli è situato in un colle di buon’aria, non si sa né quando egli fosse surto, né chi fossero stati i suoi fondatori. Io non mi ricordo di averlo letto nelle numerazioni de’ fuochi.
africonel1948G. Barrio (Gabriello Barrio, De antiquitate et situ Calabriae, Roma 1737) scrive che “essere assai fruttifero il suo territorio, e molto buoni i vini, gli olj, ed il miele, ed assai celebri i suoi formaggi, e che vi sono boschi di ghiande, ove s’ingrassano, mirabilmente i porci. Avvisa di più che vi si annidavano gran numero di sparvieri, e di varia specie, e vi si facea gran caccia di quaglie. Questo villaggio era di rito greco, ed anche oggi il parroco porta il titolo di Protopapa.
I suoi naturali al presente ascendono al numero di 800, in circa per la massima parte addetti all’agricoltura del loro territorio, nel quale vi sono molti vigneti e castagneti.
La vita di Africo e degli africoti non ha lasciato segni nella storia malgrado una lingua ricca di antiche reminiscenze (Ad Africo si parla un dialetto romanzo in cui sono rimasti molti vocaboli di origine greca, come del resto nei dialetti di tutta la Calabria meridionale. Questi elementi greci, secondo il Rohlfs, corrispondono perfettamente al greco parlato ancora a Bova e in alcuni paesi vicini, Roghudi, Condofuri, Roccaforte. Sull’origine di questa lingua greca della zona di Bova esistono teorie diverse: mentre alcuni studiosi (Morosi, Battisti e Alessio, Parlangeli) l’attribuiscono alla dominazione bizantina, oppure a immigrazioni isolate di coloni dalla Grecia, sempre in epoca bizantina, oppure all’influsso di monaci basiliani, il Rohlfs ritiene che derivi direttamente dal greco antico. Dal tempo della prima immigrazione greca nell’Italia meridionale. “La lingua greca che si parla nell’oasi di Bova – ha scritto il Rohlfs – e che si rispecchia nelle centinaia di vocaboli greci superstiti nei dialetti della Calabria meridionale, benché nel suo complesso corrisponda al neogreco… ci rivela un’origine anteriore e delle radici più profonde”. Nel dialetto di Africo si trovano molti grecismi oltre che in vocaboli di uso comune (nomi di erbe, di piante selvatiche, di animali, molti termini che si riferiscono alla vita del contadino e del pastore, alla terra, alla vita domestica) anche nei nomi geografici: ad esempio, Pagadàci, località di Africo, dal greco sorgente; Aposcipo, il torrente di Africo, dal greco non protetto; E poi: Carrà = cerro; Scrisà = ortica. Cfr. Gerhard Rohlfs, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Collezione di studi meridionali diretta da U. Zanotti Bianco, Halle-Roma 1933; Grammatica storica dei dialetti italo-greci (Calabria), in “Il Ponte”, settembre-ottobre 1950)… .
LapiazzadicasalnuovoGuerre, calamità, sbarchi di eserciti, pestilenze, terremoti, epidemie fanno da sfondo ai mediocri avvenimenti di Africo e alla vita degli africoti, carne da cannone del re.
Le cronache, nel Seicento, parlano solo di un casale di Africo nel territorio di Bova (Girolamo Marafioti, Croniche et antichità di Calabria, Padova 1601); nel settecento accennano a un gruppo di monaci greci che a Casalnuovo di Africo professarono il proprio rito e poi lo abbandonarono (I primi monaci greci, specialmente basiliani, arrivarono in Italia meridionale nel VII secolo, quando la Siria e l’Egitto caddero nelle mani degli arabi. Si stabilirono dapprima in Sicilia, poi in Calabria. La provincia di Reggio, fin dall’VIII secolo era coperta da una fitta rete di monasteri basiliani. I monaci, che vivevano di solito in conventi isolati sulle montagne, lontano dai centri abitati, si dedicavano a studi religiosi e copiavano manoscritti biblici. Cfr. Rohlfs, Scavi linguistici cit.; Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia osseravto dai Greci, Basiliani e Albanesi, Roma 1758); citano un arciprete di Africo, il protopapa Marino e poi nominano il paese a proposito del terribile terremoto del 1783 che provocò in Calabria 29514 vittime e 12 anche ad Africo” con 150.000 ducati di danni (Domenico Carbone Grio, I terremoti in Calabria e Sicilia nel secolo XVIII, Reggio Calabria 1927).
Nell’Ottocento danno notizia di un brigante, Antonio Zema, e poi di uno scontro a fuoco tra volteggiatori francesi e soldati borbonici, con gli africoti che, dalla parte di questi ultimi, obbligarono i francesi ad andarsene dal paese occupato, ad abbandonare la preda e parte delle armi e dei bagagli. Rastrellarono tutta la zona circostante uccidendo i ritardatari e costringendo i pochi superstiti a veloce ritirata verso San Luca (Antonio Catanea, In terra di Bova, Reggio Calabria 1927).
E’ solo la vita del santo ad accendere le passioni e la polemica. San Leo, il patrono, nacque ad Africo, come lasciò scritto il Barrio, o a Bova e operò nel V secolo nel territorio di Africo e verso la Madonna di Polsi, a due ore di cammino da Africo.
“Ebbe S. Leone di Bova i suoi genitori poveri, e nel secolo egli si pose al lavoro della pece, che ivi far si costuma, e mentre faticava con le braccia, non istava la bocca oziosa, ma recitava preci a Dio, ed a lui rivolga la mente. Quando i compagni mangiavano, egli da parte ritiratosi, ginocchioni orava, e molto più la notte, dormendo solo per bisogno preciso del corpo. Né di ciò solamente contento, s’affliggeva e travagliava il corpo, buttandosi dentro ad un lago (che oggidì si mostra) e in esso dimorava, quando poteva. Le mercedi delle sue fatiche dispensava ai poveri. Vestitosi poscia monaco di S, Basilio, fé maggiori progressi e miracoli anche morto. Stette per alcun tempo in campagna sotto capanne: e di poi fabbricò il Monastero. E quando si cibava, la porzione del suo pane lo dava agli uccelli, che da sé andavano sopra le mani. Riposò nel Signore ai 5 di maggio” (Domenico Martire, La Calabria sacra e profana, Cosenza 1876, opera del XVII secolo).