Articolo tratto da IL QUOTIDIANO - Venerdi 15 Luglio 2005
DA AFRICO VECCHIO A CASALNUOVO
FRA CASOLARI E RUDERI RIAFFIORANO I RICORDI - FOTOGRAMMI DI VITA DI “GENTE D’ASPROMONTE”
di Gianfranco MARINO
Quello che ci porta da Africo a Casalnuovo è un viaggio alla scoperta di civiltà perdute, di memorie storiche, di vecchi ricordi legati ad un passato ancora ben presente nella memoria di molti. Storie di grandi fatiche, di gente e di vita semplice, una vita stravolta di colpo ben cinquantaquattro anni fa. La storia di Africo e della sua frazione Casalnuovo è indubbiamente legata ad una data scolpita nella mente della sua gente e non solo, il 1951. Un anno nefasto il cinquantuno, e non solo per Africo, sicuramente anche per altri centri dell’Aspromonte orientale. Proprio nel ’51 infatti un’alluvione di proporzioni inimmaginabili decretò il trasferimento dell’abitato, dai bui e impervi crinali aspromontane alle coste dello Ionio, nei pressi di Bianco, dove tuttora sorge il nuovo abitato.
Ad oltre mezzo secolo di distanza di quei vecchi insediamenti montani non rimangono che pochi desolanti ruderi quasi a voler testimoniare la virtuale resa di una realtà, agro pastorale piegata dall'incalzare del progresso. Quello che porta da Africo Vecchio a Casalnuovo è un itinerario avvincente non solo per gli amanti del trekking e della natura ma anche per chi volesse capire l'intimo legame che ancora oggi lega la gente di Africo a questa terra. Una volta raggiunti i piani della località Campi di Bova ad oltre 1300 metri di quota, si imbocca una discesa, la strada asfaltata presto lascia il posto allo sterrato. Solo pochi chilometri è abbiamo già raggiunto i 940 metri della località Carrà. Siamo già nel territorio comunale di Africo. Le poche case di Carrà costruite dopo l'alluvione e abitate fino ai primi anni sessanta si trovano in un luogo inaccessibile, coperto da immense foreste di querce e castagni. Carrà, per la gente di Africo "U Carrùsu", si presenta come un piccolissimo avamposto della civiltà che nei mesi più freddi rimane spesso isolato dalla neve e dal ghiaccio. A Carrà c'era persino una scuola, una pluriclasse. Chi ci ha insegnato parla di un tragitto che costringeva i malcapitati di turno a passare fra vere e proprie "trincee" scavate nella neve. Ma è proseguendo la discesa che da Carrà porta al greto del fiume, che sul più bello, quasi confuse fra la vegetazione appaiono le prime case di Africo, una visione che si commenta da sola. Costruzioni che formano un corpo unico con la montagna ecco come appare oggi il vecchio abitato di Africo. Siamo a 690 metri di quota, in uno dei luoghi più isolati ed irraggiungibili dell'intero Aspromonte, sovrastati dall'imponente mole del Montalto (1956 m.). La realtà di Africo è quella di una vita dura e aspra quasi ai confini della realtà. Una storia di uomini, donne, anziani e bambini, casolari e ricoveri per le bestie, vette innevate e dirupi profondissimi. Dopo avere visitato i vecchi ruderi ormai quasi completamente ingoiati dalla macchia mediterranea ci si trasferisce in località Mingioia dove si può visitare una caratteristica chiesetta dedicata al culto di San Leo, protettore del paese. Il tragitto riprende poi imboccando una pista appena percorribile a piedi che scende rapidamente fino a giungere ai piedi di un torrente. Risalendo l'altro versante della montagna si giunge a quota 755. Siamo finalmente a Casalnuovo, frazione di Africo, un'altro piccolo nucleo abitato che guarda Africo dal versante opposto della montagna.
A Casalnuovo c'è ancora qualche pastore, il centro, anche se quasi del tutto abbandonato, si conserva comunque meglio rispetto ad Africo anche perché fino a circa venti anni fa era discretamente abitato, basti pensare che, fino ai primi anni novanta, c'era addirittura un piccolo ufficio postale. Chi passa da queste parti non può fare a meno di chiedersi come si potesse vivere in posti praticamente isolati dal resto del mondo e davvero difficilmente raggiungibili. Le prime sconcertanti immagini della realtà di Africo furono quelle regalate al mondo dagli scatti del fotografo Tino Petrelli, datate 1943, fotogrammi e scorci di una vita vissuta al limite del verosimile, una vita di sofferenze e duro lavoro, sacrifici e tremende vicissitudini, una vita per molti inimmaginabile, ma chissà magari forse per, alcuni aspetti più bella e piu "vera".