PREGHIERA DEL CALABRESE AL PADRE ETERNO

di Antonio MARINO


Videro a prima vista gli uliveti,
gli agrumeti, i vigneti, e mandrie e frutti.
E dissero  fra loro, c'é da fare! ...
"Qua ci sono dei beni e ingrassiamo tutti".
E subito si misero a sciancare.
A scoppia pancia, a vuotar le botti.
Poi sazi senza contegno ammucchiati
come s'ammucchiava la legna rotta.
E per di più "gli schiavi conquistati",
ci chiamano le facci di ammazzati.
Già le famiglie ricche impezzentirono;
i poveri sono ricchi per la fame;
l'argento e l'oro l'hanno fatto scomparire,
e scomparse da noi anche il rame
gli impieghi fra di loro si divisero;
fecero razzìa del bestiame;
galline, e uova, e pasta l'hanno aumentate
il grano, vino, pesci e la verdura.
Non pensano ad altro che mangiare solo
ma fanno tanto grasso e grosso culo.

La “Preghiera” è stata scritta dal frate A. Marino, dopo l’unità d’Italia, come attacco al nuovo regime, identificato coi Piemontesi: "calati allampati", macilenti e ora superbi e ricchi delle spoglie altrui.

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