Tratto dal Mensile delle Missioni e Opere degli Stimmatini Voci dalla Calabria
S. LEO D'AFRICO
di Mons. Giancarlo BREGANTINI
Don Tonino Bello, quel grande amabile vescovo il cui ricordo è in crescente benedizione, amava dire del Sud, lui che era uomo di questa terra: " Al Sud, il popolo è ferito, per tantissime cause... e nel fare un'analisi o proporre un'iniziativa, non si possono mai dimenticare queste ferite". La utilizzo spesso questa osservazione. Semplice ma incisiva, radente. Nel guardare o prospettare, queste ferite mi tornano davanti. E ad una persona ferita, non puoi chiedere tutto. O meglio lo devi saper chiedere, con quel pizzico di attenzione in più che fa sgorgare i miracoli. A ferire il Sud in questi giorni c'è stata anche la natura. Sarno piange i suoi morti. Non dimenticheremo facilmente quel funerale silenzioso, vero, con la nitida voce del Vescovo mons. Iliano, che riflette e prega. Sul piazzale, un centinaio di bare. Una scena che ricorda altre immagini di quest'Italia travagliata, come lo fu per Stava o il Vajont o altre tragedie per l'inclemenza del tempo. Il tempo, ma anche - lo sappiamo bene - la trascuratezza degli uomini, che non sanno adeguatamente rispettare il ciclo della terra, custodirla, difenderla dagli incendi che producono poi il dissolversi del terreno e causano le frane sotto l'urlo dei venti ed il flagello di piogge torrenziali. Tutto è collegato, nel bene e nel male, dentro la natura. ...quel 18 ottobre 1951... Il 18 ottobre 1951 quella stessa tragedia toccò alla Calabria. Era piovuto per diversi giorni in modo incredibile. E in quella notte, nel buio più totale, le colline aspromontane non ressero più. Molti paesi furono travolti, altri spazzati via dalle frane, i fiumi si trasformarono in nemici. Una tragedia immane. Qui è ancora ricordata. Entri in paesi ben squadrati, dalle casette tutte eguali e ti chiedi perché, notando bene la differenza rispetto agli antichi borghi, abbracciati, dalle case l'una sull'altra. La risposta è nota: "É un paese ricostruito dopo l'alluvione...", ed alzando lo sguardo noti i ruderi del vecchio paesello, là tra i cigli delle montagne. É come se qui ci fosse la chioma dell'albero e là, lontano, restassero le radici. Si, perché la gente non può e non deve dimenticare. Ci sono giorni in cui è necessario rivisitare quelle radici, per piangere ed asciugare le ferite.
La gente di Africo...
C'è un paese simbolo, nella Locride, di tutto questo dolore ma anche di questa forza di rinascere che la gente ferita sempre ritrova. É Africo. Sulla tabella vedi scritto "Africo nuovo". E ti chiedi la ragione di quel "nuovo" la prima volta che lo visiti, dal momento che sulle montagne retrostanti non vedi centri similari. Dov'è Africo vecchio?
Non lo troverai mai, dal vivo, se non sulle cartine geografiche, nel cuore stesso dell'Aspromonte vero, segnato con tre puntini, quei puntini che i geografi usano per raccontare di antiche rovine. Infatti, da quella tragica notte, l'intero paese si è spostato, portandosi dietro tutto quanto avevano di prezioso.Ed hanno ricostruito, con tenacia mirabile, per la forza del parroco soprattutto, un nuovo paese in marina.Da gente di montagna, in pochissimo tempo hanno dovuto diventare gente di mare. Ma solo in apparenza. Perché di fatto, sempre "gente d'Aspromonte" restano.Lì tornano a lavorare, tra quei boschi come forestali, lì conoscono ogni anfratto, lì narrano i loro ricordi. Anche i ragazzi vivono ancora di questa epopea.Un santo d'Aspromonte...
Anche perché proprio tra quei boschi, dai castagni secolari e dai pini altissimi, ha vissuto un santo straordinario, chiamato Leo. Un nome breve per indicare una figura mite e forte insieme. Era un monaco, appartenente all'ordine monastico dei Basiliani, che hanno addolcito le ferite di questa terra con il balsamo della loro santità. Ne è intessuta tutta la Calabria, specie in provincia di Reggio. In diocesi conserviamo il ricordo di ben tre santi basiliani, venerati ed invocati: San Giovanni Theristis (che vuol dire il mietitore) operante nella vallata dello Stilaro, dalla vita avventurosa, che qualche giorno vi racconterò attorno al fuoco. Poi sulle montagne battute dal vento che corre tra i due mari, Jonio e Tirreno, c'è una chiesetta dedicata a San Nicodemo, veneratissimi a Mammola. É dentro i boschi dell'Aspromonte, resta appunto la chiesetta ed il luogo della morte di San Leo.
Cosa faceva questo monaco? Lavorava e pregava, secondo l'antico detto "ora et labora". Un lavoro originale: intagliava i pini odorosi della montagna, facendone lentamente scolare la profumata resina in appositi contenitori. La trattava in modo adeguato e ne otteneva dei lumi per illuminare le notti oscure. La resina che si fa luce. Un segreto antico come i greci, ma che aveva il grande merito di ben utilizzare le risorse locali, le ricchezze di un determinato territorio. Vivere della montagna per restare in montagna: questo è lo slogan che abbiamo creato per la festa di quest'anno. Lo sviluppo del Sud infatti non verrà mai dal di fuori, da qualche rara industria che si appoggia qui e non lascia traccia. Lo sviluppo non sarà mai vero se non sarà "endogeno", cioè fatto di realtà, intelligenze e risorse locali. Dal basso e non dall'alto, dentro una sinergia di iniziative che sappia intrecciare una politica governativa che apre le strade, percorse poi da gente preparata, fiera delle proprie risorse, decisa a combattere fino in fondo. Come per le fragole e le pecore, di cui vi ho parlato.
Articolo recuperato grazie alla segnalazione di Lisa.