Dal sito www.africo.net
Articolo tratta da l Quotidiano - Martedì 24 luglio 2007

NEL PAESE DELLA GENTE CON GLI OCCHI NERI

Da Africo a Casalnuovo trekking per riscoprire la natura selvaggia e incontaminata dell'Aspromonte di Gianfranco MARINO

Da Africo a Casalnuovo: un trekking per riscoprire, con una natura selvaggia e incontaminata le antiche radici. “Gli Africoti odiano il mare. Un mare quasi sull'uscio di casa, blu carico, con bordi celeste Madonna e striature vinose“. La descrizione di Corrado Staiano, in un libro del 1979 che si intitola proprio “Africo“ è quanto mai eloquente e parla del dramma di un popolo, di gente dura, dagli occhi neri e profondi, dalla pelle del viso arsa dal sole e consumata dal gelo. Una storia di amore e odio, dolore e morte, tristezza e disperazione per un passato abbandonato sugli scuri e impervi declivi aspromontani, e un presente ed un futuro che parlano di spiagge bianchissime e mari cristallini, che spesso costituiscono una barriera invalicabile fra presente passato e identità umane che si trovano sempre in bilico, a tratti mimetizzate nella massa e omologate a una società che disperde sempre più le peculiarità della gente d'Aspromonte, a tratti invece rincorse da un'inspiegabile e forse ereditaria voglia di un ritorno alle origini e difesa della propria storia. Sono africoto e me ne vanto, dice il Poeta Gianni Favasuli - in uno dei suoi tanti componimenti, “lupo di montagna, cu scorcia dura e cori grandi“. Ripercorrere la storia di Africo vuole dire tornare indietro di oltre mezzo secolo, proprio su quelle montagne di cui parla Favasuli, nel dedalo di gole impenetrabili rischiarate dal biancore delle fiumare. Africo nuovo è certamente una realtà più vicina alle altre, ma la vecchia Africo così come si apprende dal racconto dei più anziani riserva sorprese uniche e lascia senza dubbio tanti interrogativi. È un viaggio alla scoperta di civiltà perdute, di memorie storiche legati a doppia mandata ad una data che per la gente di Africo rimane nel bene e nel male sicuramente storica, il 1951, anno in cui una grande alluvione ricordò agli africoti il loro particolare appuntamento col destino, decretando il trasferimento dell'abitato, dall'Aspromonte al mare, nei pressi dell'abitato di Bianco. Sono trascorsi con esattezza cinquantasei anni da allora, e della vecchia Africo non rimangono che pochi desolanti ruderi virtuali testimoni di una resa incondizionata. Il tragitto per gli amanti della natura, che porta da Africo Vecchio alla sua frazione Casalnuovo è avvincente non solo per gli amanti del trekking e della natura ma anche pere chi vuole capire l'intimo legame che ancora oggi lega la gente di Africo alla sua terra. Una volta raggiunta località Campi di Bova a 1300 metri di quota, inizia la discesa che dopo pochi chilometri ci porta a quota 940, località Carrà, territorio comunale di Africo.
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Le pochissime case di Carrà sono state costruite dopo l'alluvione e abitate fino ai primi anni sessanta. Carrà, per la gente di Africo “U Carrùsu“ si trova in un luogo inaccessibile, coperto da foreste di querce e castagni. Proseguendo da Carrà verso il greto del fiume, ecco comparire sul più bello le prime case di Africo, quasi confuse fra la vegetazione. Le costruzioni formano un corpo unico con la montagna. Siamo a 690 metri di quota, in uno dei luoghi più isolati dell'intero Aspromonte. La realtà di Africo è quella di una vita dura quasi ai confini della realtà. Una storia di uomini, donne, anziani e bambini, casolari e ricoveri per le bestie, vette innevate e gole profondissime. Dopo avere visitato i vecchi ruderi ormai quasi completamente ingoiati dalla macchia mediterranea ci si può trasferire in località Mingioia dove esiste una caratteristica chiesetta di epoca basiliana dedicata al culto di San Leo protettore del paese. Il tragitto riprende poi imboccando una pista appena percorribile a piedi che scende rapidamente fino a giungere i piedi di un torrente. Risalendo l'altro versante della montagna si giunge ai 755 metri della frazione Casalnuovo, un'altro piccolo nucleo abitato che guarda Africo dal versante opposto della montagna. A Casalnuovo c'è ancora qualche pastore, il centro, anche se quasi del tutto abbandonato si conserva comunque meglio rispetto ad Africo, anche perché fino a circa venti anni fa era discretamente abitato, basti pensare che, fino ai primi anni novanta c'era addirittura un piccolo ufficio postale. Chi passa da queste parti non può fare a meno di chiedersi come si potesse vivere in posti praticamente isolati dal resto del mondo e davvero difficilmente raggiungibili. Le prime sconcertanti immagini della realtà di Africo furono quelle regalate al mondo dagli scatti di fotografo Tino Petrelli, 1928, fotogrammi e scorci di una vita vissuta al limite, una vita che oggi sembra davvero molto lontana, ma che alo stesso tempo rivela fotogrammi di un passato che non può e non deve essere dimenticato, perché è davvero difficile vivere a pieno il proprio presente e il proprio futuro senza avere piena consapevolezza del proprio passato. “Sugnu africotu, lupu di montagna“ dice Gianni Favasuli, lui che come pochi riesce a interpretare la sofferenza e la dignità di questa gente, col cuore di chi la storia di Africo l'ha vissuta, e con la consepevolezza di chi sa che una nuova storia per Africo deve necessariamente essere riscritta.

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