ALLUVIONE
La storia di Africo e della sua frazione Casalnuovo è indubbiamente legata ad una data scolpita nella mente della sua gente e non solo: il 1951. Un anno nefasto il cinquantuno, e non solo per Casalnuovo e Africo, sicuramente anche per altri centri dell’Aspromonte orientale. Proprio nel ’51 infatti un’alluvione di proporzioni inimmaginabili decretò il trasferimento dell’abitato, dai bui e impervi crinali aspromontani alle coste dello Ionio, prina di approdare dalla fine degli anni del 1950, nei pressi di Bianco, dove tuttora sorge il nuovo comune di Africo Nuovo.
Le rovinose alluvioni del 15-18 ottobre 1951 devastarono quasi tutto il centro di Africo Vecchio e Casalinuovo e costrinsero gli abitanti ad abbandonare il paese trovando provvisoriamente riparo a Bova Marina, Reggio Calabria e Fiumara di Muro in attesa di una soluzione.
Terribile e sconvolgente quell'ottobre del 1951. Per quattro giorni consecutivi una bufera di vento, pioggia e nevischio si abbatté ininterrottamente sui due paesi causando frane, crolli di abitazioni e la distruzione di intere colture. Sei persone morte a Casalnuovo, tre ad Africo; e danni ingentissimi.
Le persone che hanno vissuto quel periodo raccontano il susseguirsi di piogge continue e lente che provocarono frane e trasportarono a valle valanghe di detriti, fango e pietre dalle montagne adiacenti.
SUGNU AFRICÒTU
di Giovanni FAVASULI
’ U celu spalancàu ’i caterràtti Senza pipìta, ciaraméddhi muti! |
- Il cielo spalancò le cateratte* - Senza piffero, ciaramelle mute! |
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* - dal cielo si scatenò il diluvio (si aprirono le cataratte).
Le Poesie di Giovanni Favasuli
Giovanni Favasuli nasce a Melito Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria il 28 marzo 1952. Dottore in Filosofia e Pedagogia, vive ad Africo nuovo. Avvicinatosi alla poesia in vernacolo come per gioco, come per magia; incantato, ammaliato dalla portata dei suoi valori, dei suoi suoni, dalla intrinseca, innata sua capacità di fissare con azzeccate e vigorose pennellate, quasi carovaggeschi chiaroscuri, un piccolo, grande mondo antico, che inesorabilmente, sotto i possenti colpi di maglio del progetto tecnico-scientifico tramonta e si dissolve, il poeta, non senza qualche nota, qualche ventata di modernità, con questa sua silloge, a quel mondo, tributa un pur dolce sentimento di gratitudine e di rimpianto, d’infinito amore.
Tutto è giudizio, cioè sentimento riflesso delle cose circostanti in questa raccolta poetica di Giovanni Favasuli: il vecchio paese, che eterno riposa nella memoria; il calabrese, che erra per il mondo; i treni da dove nessuno scende e tutti salgono; l'umile pastore, che colloquia con il gregge, e Madre Teresa, che si nutre del dolore del mondo, e, da quel costato, la madre, madre meridionale, mater dolens madre addolorata come la Madonna; la Chiesa di Dio, che prega a valle, e i Longini, che seminano lutti. Come non spesso succede nella poesia dialettale, nulla vi ha che richiami il municipio, il campanile, il perimetro paesano, sequestrato dalla Storia. Giovanni Favasuli ha inscritto il suo gruzzolo di affetti e di asprezze nel cielo lontano che ne promette il riscatto. E intanto assicura al verso, ai suoi versi, cullati dalla certezza perpetua dei valori cristiani, il respiro metafisico del cuore che palpitando va verso le stelle. Dove la poesia va. (dal libro “’U MARU GIANNANDRIA” – Rubbettino, marzo 2003)