il Quotidiano - Domenica 5 settembre 2004
AFRICO E CASALNUOVO FASCINO ANTICO
Un viaggio nei luoghi che ispirarono a Zanotti Bianco il romanzo “Fra la perduta gente”di Gianfranco MARINO
Quello che ci porta da Africo a Casalnuovo è un viaggio alla scoperta di civiltà perdute, di memorie di Africo e di Casalnuovo storiche, di vecchi ricordi legati ad un passato se vogliamo neanche troppo lontano. Storie tristi di grandi fatiche, di gente semplice, di pastori e agricoltori che all’improvviso fascino antico a causa della bizzarria della natura, e forse di scelte troppo affrettate, si vedono catapultati dal “più profondo” Aspromonte in un ambiente totalmente diverso e all’epoca praticamente sconosciuto.
Terremoti, alluvioni, catastrofi, la storia dell’intera Regione è stata da sempre caratterizzata da evinti simili, eventi che spesso e volentieri hanno cambiato il corso della storia stessa. Se è vero la furia della natura si è fatta e continua a farsi comune denominatore per molte realtà calabresi, è altrettanto vero che alcuni centri hanno dovuto pagare, rispetto ad altri un dazio davvero pesante.
L’ultimo cinquantennio di Africo e della sua frazione Casalnuovo è stato senza dubbio deciso da uno di questi tristi eventi, la colossale alluvione che nel 1951 flagellò l’intero Aspromonte orientale dando il la ad una lunga sequela di esodi (molti dei quali forzati) verso le coste. Il nuovo centro sorge ormai sulla costa nei pressi di Bianco, dei due insediamenti montani non rimangono che pochi desolanti ruderi, perenni testimoni di una realtà agro pastorale che ha inesorabilmente e tristemente ceduto il passo all’incalzare del progresso.
Quello che porta ad Africo vecchio e Casalnuovo è un viaggio inquietante che lascia si un grande bagaglio di scoperte ma sicuramente anche tanti interrogativi, un itinerario avvincente che inizia da Bova Marina, imboccando la strada che si inerpica fino a raggiungere i 915 metri di Bova, il centro più rappresentativo dell’area. Superata la “rocca” di Bova la strada prosegue fra ripidi tornanti che salgono sempre più fino a superare i 1300 metri, siamo sui Campi di Bova, alto Aspromonte Ionico, crocevia di strade invisibili che collegano, anche se in modo sconnesso, tutti i versanti più interni e sconosciuti del massiccio.
Dopo una pausa che permette di ammirare paesaggi quasi scandinavi si imbocca una ripida discesa costellata da una serie infinita di serpentine, sono i tornati di “Pedimpìsu”, che in breve portano attraverso una pista sterrata a raggiungere i 940 metri della località Carrà. Siamo già nel territorio comunale di Africo. Carrà (da queste parti ‘u Carrusu) è un luogo inaccessibile, coperto da immense e fitte foreste di querce e castagni, dove sorge un piccolo nucleo di case costruite dopo l’alluvione, abitate fino ai primi anni sessanta, un piccolo avamposto della civiltà che d’inverno rimane spesso isolato da neve e ghiaccio. A Carrà c’era persino una scuola, una pluriclasse, chi ci ha insegnato parla di condizioni di vita al limite del verosimile, e di un tragitto che costringeva i malcapitati a passare fra vere e proprie gallerie scavate nella neve. Ma è scendendo da Carrà che sul più bello, quasi confuse fra la fitta vegetazione appaiono le prime case di Africo, una visione da girone dantesco, costruzioni letteralmente fuse con la montagna. Siamo a 690 metri di quota, in uno dei luoghi più inaccessibili dell’intero Aspromonte, sovrastati dalla mole del Montalto (m.1956), che sembra voler dominare con bonario ma allo stesso tempo imponente distacco tutte le propaggini che scendono vertiginosamente verso lo Ionio. La realtà di Africo è quella di una vita dura e aspra quasi ai confini della realtà.
Una storia di uomini e donne, anziani e bambini, casolari e ricoveri per le bestie, vette innevate e dirupi da paura. Dopo avere visitato i vecchi ruderi ormai quasi completamente inghiottiti dalla macchia mediterranea ci si trasferisce in località Mingioia dove esiste una caratteristica chiesetta dedicata a San Leo, protettore del paese.
Il tragitto riprende imboccando una pista appena percorribile a piedi che scende rapidamente fino a giungere ai piedi di un torrente, per poi risalire l’altro versante della montagna, una risalita che si ferma a quota 755, siamo finalmente a Casalnuovo, frazione di Africo, un piccolo insediamento che guarda Africo dal versante opposto della montagna. A Casalnuovo c’è ancora qualche pastore, il centro, anch’esso quasi completamente abbandonato è comunque conservato meglio rispetto ad Africo, anche perché fino a circa venti anni fa era discretamente abitato, fino ai primi anni novanta c’era addirittura un piccolo ufficio postale. Chi passa da queste parti non può fare a meno di chiedersi come si potesse vivere in posti, all’epoca praticamente isolati dal resto del mondo, una domanda che si sono posti, anche molti personaggi del passato, su tutti Umberto Zanotti Bianco, che circa mezzo secolo fa scrisse dopo essere stato da queste parti “Fra la perduta gente” edito da Mondadori nel 1959, una fedele e sconcertante descrizione della realtà africese redatta dopo una breve ma significativa permanenza su questi monti.
Oltre a lui anche Tommaso Besozzi, editorialista dell’Europeo che documentò la realtà di Africo in un’inchiesta pubblicata da L’Europeo nel Marzo 1948. La realtà per Africo è ormai quella della marina, una realtà ormai non più nuova, ma sicuramente più anonima, omologata ad una massa che tende sempre più a perdere le peculiarità tipiche della gente di montagna. L’ideale tragitto che da Casalnuovo porta alla marina prosegue attraverso una discesa che ci porta alle case di Scrisà e di Motticella, altri due piccoli insediamenti come al solito quasi disabitati, siamo ormai nel territorio comunale di Bruzzano Zeffirio. I Panorami che abbiamo ammirato durante la discesa sono da togliere il fiato, l’ultima parte del tragitto è stato un vero e proprio balcone sullo Ionio, passando attraverso un microcosmo dove la vegetazione è variata rapidamente al variare dell’altitudine.
Giunti a Bruzzano ed a Brancaleone Marine poi, si ha l’impressione di essere passati da un sogno, e di avere visto cose che difficilmente si potranno dimenticare, cose quasi irreali, a metà strada fra magia e grande nostalgia per una vita ed una storia abbandonate per sempre su questi monti assieme alla speranza di tornare.